di Valentina Strada
Cosa
resta nello spettatore dopo la visione di “Yves Saint Laurent”,
lo sfarzoso biopic
francese dedicato al genio che ha rivoluzionato le passerelle
mondiali del secolo scorso, sconvolgendo, di volta in volta, gusti e
convenzioni dell’universo femminile? Di certo le splendide
interpretazioni di Pierre Niney (nei panni del grande stilista) e
Guillame Galienne (Pierre Bergè, compagno di vita e factotum
della maison), attori
di razza, impressionanti per somiglianza fisica e aderenza ai ruoli.
La regia pulita e mai invadente (nei confronti degli aspetti più
intimi e trasgressivi della coppia) di Jalil Lespert. La sontuosa
ricostruzione di feste e sfilate, la galleria di abiti e disegni
storici, l’omaggio all’innovazione portata da un enfant
prodige della moda,
chiamato a soli ventun anni, a dirigere il marchio più famoso al
mondo, quello di Dior.
Restano
sullo sfondo, tutti gli aspetti più complessi e autentici del
personaggio Sain Laurent. Il conflitto tra creatività e business, la
fragilità personale e l’affermazione totale, la ricerca continua
dell’umiliazione e dell’eccesso, anche di fronte alla pienezza di
un amore vero.
Resta
l’amarezza per un’occasione sprecata, per l’apparenza di un
film fortemente incentrato e confezionato su misura per la Fondazione
Saint Laurent, senza esiti originali, senza un adeguato scavo
drammaturgico.
Non
ci resta che aspettare il prossimo film dedicato allo stilista,
diretto da Bertrand Bonello (regista del notevole L’Apollonide),
autore estremo e discusso, a cui Bergè ha negato approvazioni e
sostegno del brand.
Un limite tostissimo per un film che già si presenta insolente e
fuori dagli schemi.
Nessun commento:
Posta un commento
Thanks for commenting!